Fuori dalla fila: la follia lucida di Manikomio Design

Intervista a Massimo Cabbia, l’imprenditore che ha trasformato la pazzia in un marchio d’identità e coraggio.

Nel panorama della pelletteria italiana, dove l’omologazione sembra la regola e i marchi si rincorrono a colpi di trend, c’è chi ha scelto di fare il contrario. Massimo Cabbia, fondatore di Manikomio Design, è uno di quei visionari che hanno deciso di costruire un’impresa partendo dal paradosso: la follia come metodo, l’imperfezione come firma, l’emozione come prodotto. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare com’è nato Manikomio, cosa significa oggi creare in controtendenza e perché, a volte, il segreto del successo sta proprio nello “stare fuori dalla fila”.

Partiamo dall’inizio: che cos’è Manikomio Design e chi è Massimo Cabbia?

Io sono letteralmente l’insegna del mio marchio. Solo un matto può decidere di aprire un brand da zero, in pieno lockdown, e farlo producendo in Italia quando ormai la filiera locale si è persa “nei meandri degli occhi a mandorla”. Ho scelto di realizzare un prodotto fuori da ogni logica, recuperando la aviator’s kit bag usata dai paracadutisti americani durante la Seconda Guerra Mondiale. Non avevo ancora un nome, poi mi sono guardato intorno e ho pensato: solo dei pazzi fanno impresa in Italia, e in questo modo. Così è nato Manikomio.

Partiamo dall’inizio: che cos’è Manikomio Design e chi è Massimo Cabbia?

Assolutamente sì. E ti dirò di più: far sorridere le persone quando sentono il nome del marchio è già una vittoria. Le persone non hanno bisogno di un’altra borsa o di un capo d’abbigliamento: hanno bisogno di un’emozione. Se riesci a strappar loro un sorriso, già hai fatto tre quarti della strada.

In un mercato saturo e dominato dai trend, come si riesce a emergere con un progetto autentico?

Per molti anni ho fatto il direttore commerciale — in realtà, come si dice, “il galoppino per il padrone”. In quel periodo mi sono accorto di una cosa: se mettessi su un tavolo tutte le borse dei vari marchi e le mescolassi, nessuno saprebbe più distinguere un brand dall’altro. L’appiattimento degli stili ha spento ogni emozione.

Quando ho deciso di fare qualcosa di mio, mi sono detto: faccio una cosa che piace a me, poi vediamo se piacerà anche agli altri. È un percorso lento, ma come dice il proverbio: gli alberi che crescono lentamente mettono radici più profonde.

In questo mondo, però, il mercato sembra andare in tutt’altra direzione: tutti rincorrono la tendenza.

Io mi diverto a recuperare oggetti nati per tutt’altro scopo e trasformarli in moda. È lì che si spostano gli equilibri. Fare la copia di una borsa di Vuitton? Ci riescono tutti. Ma dov’è il divertimento? Ad esempio, con la nostra ultima borsa estiva: È una shopper in tappeto, con chiusura furba e una scritta enorme dietro. È talmente grande da diventare quasi neutra. Scrivere “Forlì” sopra è una dichiarazione di identità, come dire: “Ecco da dove veniamo”. Prada è di Firenze ma scrive Milano; io sono di Forlì e lo rivendico.

L’identità è ciò che permette a un marchio di durare. E la tua si vede subito nei materiali: tende, tappeti, tessuti d’arredamento... Da dove nasce questa scelta?

È semplice: tutto quello che fanno gli altri, per me, è un posto dove non andare. Poi, ogni tanto, ci torno — ma solo per “sporcarlo” con il mio DNA. Uso materiali che arrivano dal mondo dell’arredamento, delle tende da campo, dei tappeti… ma domani potrebbe essere qualsiasi altra cosa. La sperimentazione è parte del gioco.

Un altro tema interessante è quello della borsa unisex. Una scelta ancora rara. Come la interpreti ?

Per me la borsa non deve avere sesso. Se un prodotto è buono, deve esserlo sempre, d’estate come d’inverno. Quando stabilisci che qualcosa “non è per te”, ti autolimiti. Ho clienti uomini che usano la BB come borsello, e donne che portano la stessa borsa a tracolla. Al contrario, la Icon, nata per l’uomo, è acquistata soprattutto da donne. La borsa più venduta in Giappone, la Lady 24, la comprano uomini e donne indistintamente. Per me non è il cliente che sceglie la borsa, ma la borsa che sceglie il cliente.

Anche i dettagli contano molto nel tuo prodotto.

Assolutamente. Ti aggiungo un particolare: quando scrivo a mano il codice sul cartellino e sbaglio, non lo rifaccio. Lo cancello come a scuola. Manikomio è perfettamente imperfetto. Nella sua imperfezione c’è tutto: autenticità, ironia, verità.

Ci racconti meglio del packaging dei tuoi prodotti ? Dice molto del tuo approccio...

Sì, ed è uno dei miei preferiti. Quando ho comprato il mio primo iPhone, la cosa che mi ha colpito di più non è stato il telefono, ma la scatola: quel suono perfetto quando la apri, la cura dei dettagli. Non volevo una confezione che finisse nella spazzatura. Tutti mi proponevano dust bag in nylon o tessuto non tessuto — non mi piaceva per niente. Poi, un sabato pomeriggio, in un mulino vicino casa vedo dei sacchi color avana per la farina. Bellissimi. Me ne sono fatto dare cinque, li abbiamo serigrafati e chiusi come li vedete oggi. Sono piaciuti a tutti: c’è chi li usa come coprivasi, chi come cestino o borsa mare. Da un problema è nata un’idea che funziona, perché è autentica.

Ed è proprio questa autenticità che arriva al cliente finale?

Sì, e lo vedo tutti i giorni. Abbiamo raggiunto 20.000 follower molto attivi. A volte basta un gesto semplice, come regalare una tracolla, per creare una community vera. Ci sono clienti che hanno comprato cinque borse uguali cambiando solo colore, perché “non riescono più a farne a meno”. Quando qualcuno ti dice che una tua borsa gli dà gusto, che è diventata la sua “coperta di Linus”, capisci che non gli hai venduto un accessorio, ma un’emozione.

Come immagini Manikomio tra cinque anni?

Non molto diverso da oggi. Manikomio sono io. Se continuo a esistere io, esiste anche lui. Un anno fa un investitore mi propose di entrare in società, ma voleva spostare la produzione all’estero. Gli ho detto subito: sopra le mie borse c’è scritto Forlì, Made in Italy. Non potrei mai rimangiarmi tutto e mettere “Made in China”. Preferisco andare avanti con le mie forze, mantenendo il DNA del marchio: qualità e imperfezione. A primavera apriremo il primo monomarca in Giappone: un’operazione folle, quindi perfettamente in linea con Manikomio.

In un mondo di copie, la tua filosofia è “stare fuori dalla fila”.

Esatto: fuori dalla fila, un po’ al Manikomio. Se dovessi mettermi a fare le copie degli altri, durerei un quarto d’ora. Mi arrabbierei con me stesso. Viviamo in un mondo frenetico, spesso senza speranza. Fare qualcosa che ti dà emozione è il vero godimento della vita. Molti mi dicevano: “Ma cosa fai? Non c’è bisogno di un’altra borsa.” E invece quella è stata la mia spinta. È dura come la pietra, ma vado avanti, ascoltando tutti e facendo di testa mia. Perché alla fine, quando sbagli, è il tuo sedere sulla griglia.

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